|
|
Autore:
Gianfranco Calligarich,
Editore:
Aldo Garzanti Editore – Milano
Anno: Aprile 1973 Prima edizione
Condizioni: OTTIME CONDIZIONI
Categoria: LETTERATURA, ROMANZI, PRIME EDIZIONI, SOCIETÀ CONTEMPORANEA, GIANFRANCO CALLIGARICH
ID titolo:89619118
"L’ultima estate in città" è in vendita da venerdì 16 dicembre 2022 alle 11:52 in provincia di Parma
|
|
|
|
|
|
Note su "L’ultima estate in città": Il romanzo è il ritratto ironico, amaro e disincantato di un uomo del nostro tempo. A trent’anni, egli si muove a caso tra mestieri discontinui e mediocri, fra convegni e incontri dove i rapporti umani sono effimeri e sfilacciati. L’incontro con una ragazza irrequieta e fragile, che a tratti gli si mette accanto e a tratti scompare, e le deliranti divagazioni di un amico distrutto dall’alcool sembrano insediare nella sua solitudine e accendere in lui una volontà di scelta e un soffio vitale. Ma egli sa di essere nel numero di quelli che perdono, per una inettitudine a vivere e per una oscura repulsione verso ogni vittoria. La città che lo accoglie è una Roma inospitale, solenne, vasta e indifferente, e tuttavia prodiga nell’accordare a ogni esule e a ogni randagio qualche zona di protettiva penombra, non amica e non materna ma piuttosto beffardamente complice. La qualità essenziale del romanzo è nell’avere illuminato con disperata chiarezza il rapporto fra un uomo e una città, cioè tra la folla e la solitudine. Legatura editoriale rigida figurata a colori, formato in 8° cm. 14,5 x 21,5 , pagine 178 . Condizioni usato, normali segni del tempo e d’uso, nessuna mancanza, nessun segno , nel complesso eccellente esemplare da collezione. Prima edizione non comune. ’’L’ultima estate in città’’ costituisce un romanzo di formazione. Ma diversi sono gli anni e l’epoca, e il libro alla fine risulta di tutt’altra pasta, non solo più disincantato, ma anche più amaro e disperato, sospeso sul crinale che divide l’onda lunga della ’’Dolce vita’’ e la rabbia della seconda parte degli Anni ’70. Calligarich, da apolide qual è, sta in effetti in una ’’terra di nessuno’’. Lui che è dell’Asmara, costruisce per il suo personaggio con il nome da film poliziottesco, Leo Gazzarra, un background milanese, in una di quelle famiglie malinconicamente fedeli al proprio ’’dover essere’’. Roma, con la sua inesauribile ipotesi di libertà, sembra accoglierlo con la sue estate infinita, i suoi salotti, le sue ragazze, le sue giornate d’oro in cui solo l’idea di dover lavorare fa male. Però Leo non è Marcello, semmai assomiglia al Luciano Bianchi de “La vita agra”, sottilmente anarcoide, destinato a non ritrovarsi in qualsiasi vita. E l’esistenza che conduce a Roma, tra mestieri inappaganti, compagnie alcoliche, disprezzo per la società delle cene in terrazza e l’amore per Arianna, una ragazza fragile, sull’orlo della nevrastenia, lo trascina nell’alcolismo, e all’odio sistematico per l’impossibilità di cambiare le cose. Grande libro nichilista, che indaga il rapporto tra un individuo e una città, intesa come numero umano infinito e impossibile, luogo di non incontro e di dannata solitudine, l’ “Ultima estate in città” a un certo punto diventa talmente dolente che non sai più se continuare a leggerlo. Sono le pagine della morte di Graziano, un po’ suicidato dalla società e un po’ vittima della banalità della vita, rimasto ore dopo una caduta sul selciato di un cortile di ferragosto, mentre il portiere scambia il suo tonfo con un rumore proveniente dagli appartamenti. Era già così, Leo, quando è partito da Milano, o è stata Roma a costruirgli attorno la sua storia privata di dannazione, che consumerà in fondo a quella spiaggia dove per la prima volta è stato pienamente felice? come se fosse lo straniero di Camus che rivolge contro sé stesso il senso dell’indifferenza del mondo, senza trovarvi più nulla di dolce? Dopo Roma, Leo sembra accorgersi che non esiste più un luogo al mondo dove può ritrovare il suo posto: non ha senso tornare al Nord del dover essere, e il Sud dell’essere si disvela in tutta la sua ineluttabilità, come una pistola con un solo colpo. La prosa di Calligarich è definitiva, e sembra sfornare a ogni capitolo un epigramma da mandare a memoria: “Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno, senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine”. Il finale del libro si riannoda all’inizio, come in tutte le narrazioni necessarie, che non potevano andare in altra maniera, che non lasciano scampo, e non ha molta importanza essere ingenui o, al contrario, estremamente intelligenti, accorti: tanto ci si casca lo stesso. Ha il potere di una lunga invettiva rassegnata, che si snoda pagina dopo pagina, anche quando il protagonista dice di non avere recriminazioni e di essersi giocato le sue carte. È una storia che non conosce un attimo di finzione, di fuga dalla realtà, forse proprio perché parla di un mondo in cui la realtà è stata deprivata di senso, in ragione di un cinismo volatile, che a tratti sembra dar quasi l’ebbrezza, ma che poi ebbrezza imperitura ti chiede per essere sopportato. Il presente volume fa parte della mia collezione personale.
|