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Memorie dei campi. Fotografie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti (1933-1999) |
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Autore:
Pierre Bonhomme e Clément Chéroux, testi a cura di autori vari
Editore:
Contrasto Due
Anno:Edizione originale italiana Dicembre 2001
Collana: Catalogo della mostra tenuta a Reggio Emilia presso Palazzo Magnani.
Condizioni: COME NUOVO
Categoria: NAZISMO, EBRAICA, FOTOGRAFIA, OLOCAUSTO, PRIME EDIZIONI, LIBRI RARI
ID titolo:88897105
"Memorie dei campi. Fotografie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti (1933-1999)" è in vendita da giovedì 17 novembre 2022 alle 17:10 in provincia di Parma
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Note su "Memorie dei campi. Fotografie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti (1933-1999)": ’’Gli sguardi perduti nel vuoto di fronte a una macchina fotografica. L’ingresso, tristemente noto, di uno dei luoghi più orribili della storia umana, il campo di Birkenau. Una massa di scarpe o di pennelli da barba. E la scena della cremazione dei cadaveri dei detenuti morti nelle camere a gas. L’universo dei campi di concentramento nazisti è il tema di La memoria dei campi, esposizione fotografica ospitata fino al 10 marzo nelle sale di Palazzo Magnani a Reggio Emilia. La mostra ospita 320 foto, scattate fra il 1933 e il 1999 e raccolte anche in un libro edito da Contrasto: si tratta di immagini dure e difficili, a volte di testimonianze di pratiche orrende - come gli esperimenti sui detenuti - che i curatori hanno voluto raccogliere non solo in nome della memoria, ma anche per contribuire a capire come l’orrore dei campi di sterminio sia potuto esistere. Costituiscono un materiale doloroso, talvolta insostenibile, che sempre fa dubitare persino sulla possibilità stessa di mostrarlo - scrivono i curatori della mostra, Pierre Bonhomme e Clement Chéroux - ma ci è sembrato meno grave rischiare di turbare che rischiare di dimenticare. Fra le altre, in mostra ci sono le quattro foto scattate nell’agosto del 1944 nella camera a gas del quinto crematorio di Birkenau da un membro del Sonder-kommando, la squadra incaricata dai nazisti di eliminare i corpi dei detenuti cremati. Non si sa come i prigionieri riuscirono a procurarsi la macchina fotografica, si sa però che il rullino uscì dal campo in un tubetto di dentifricio e che quelle immagini rappresentano una delle pochissime testimonianze della realtà delle camere a gas. L’esposizione si divide in tre sezioni. Nella prima, 125 immagini raccontano il periodo dei campi: accanto a foto scattate dai nazisti come ricordo di quel periodo - fra le altre, quella di un ufficiale e suo figlio in visita a Buchenwald - ci sono quelle scattate agli internati al momento del loro ingresso nei campi. Sguardi vuoti e spaventati che sono spesso l’ultima testimonianza della vita di migliaia di persone. Si passa poi alle foto scattate dai reporter al momento della liberazione dei campi. Sono raccolti in questa sezione i volti emaciati e increduli dei sopravvissuti e le testimonianze di un orrore appena terminato: immagini che raccontano il baratro di orrore cui si trovarono di fronte reporter professionisti e militari semplici fra la fine del 1944 e l’estate nel 1945. La terza parte raccoglie le foto scattate nei campi dal 1945 a oggi: alcune sono opera di ex prigionieri tornati nei luoghi dell’orrore, altre come quelle di Michael Kenna, nascono da una precisa volontÃà di documentare l’orrore. Attraverso tutte, a chi le guarda arriva un unico messaggio, lo stesso che volle trasmettere Primo Levi: Meditate che questo èstato. Brossura morbida a filo con bandelle parlanti, formato in quarto cm. 28, pagine 246, centinaia di tavole fotografiche , molte delle quali inedite, intercalate n/t. Condizioni usato allo stato del nuovo, probabilmente mai letto, perfetto esemplare da collezione. Opera fuori catalogo, non ordinabile , estremamente rara. Dei campi di concentramento e di sterminio nazisti resta di solito impressa nella nostra memoria un’immagine confusa e stereotipata: un ammasso di corpi scheletrici, un volto emaciato dallo sguardo impenetrabile, reticolati in filo spinato o una torretta di osservazione. Il tutto confuso in un immenso lessico iconografico dell’infamia dal contorno impreciso. In verità, regna intorno a questa iconografia la più grande confusione: le immagini ingannevoli della propaganda nazista vengono spensieratamente mescolate alle fotografie della liberazione, le quali, a loro volta, assomigliano alle immagini contemporanee dei campi trasformati in luoghi della memoria o in musei. Ancora più problematico è che queste immagini sono, il più delle volte, esposte e pubblicate come una sorta di icone dell’orrore, senza precisione sui fatti rappresentati, senza citare data o luogo, senza l’identità o anche solo la nazionalità, del fotografo. Da oltre mezzo secolo queste immagini hanno, per di più, conosciuto fortune diverse. Nell’immediato dopoguerra la reazione spontanea fu quella di mostrarle in modo diffuso, senza precauzioni e senza troppo riflettere, come se il solo fatto che esse esistevano fosse sufficiente. Negli anni seguenti, a questa pedagogia dell’orrore si sostituì una diffusione più misurata, governata dalla volontà di riconciliazione con la Germania. Oggi sembra che si possa tentare di guardare a questa iconografia in modo più ponderato, critico e analitico allo stesso tempo. E poiché sappiamo che molto spesso è attraverso queste immagini che la maggior parte dei nostri contemporanei si confronta per la prima volta con gli avvenimenti della deportazione, intraprenderne l’analisi storica diventa quasi indispensabile. E’ proprio ciò che si propone di fare questa esposizione. Alcune fotografie presentate nella Memoria dei campi sono la testimonianza di pratiche innominabili. Costituiscono un materiale difficile, doloroso, talvolta insostenibile, che sempre fa dubitare persino sulla possibilità stessa di mostrarlo. Questo problema che potremmo definire di mostrabilità non può tuttavia occultare quello dell’esistenza di queste immagini. Se abbiamo dunque deciso di mostrarle, è prima di tutto con uno scrupolo costante di rispetto per coloro che vi sono rappresentati - in modo particolare per le vittime. Allo stesso tempo con la volontà di comprendere non tanto perché, ma piuttosto come, tali immagini hanno potuto esistere, e cioè analizzando le condizioni della loro realizzazione, studiandone il contenuto documentario, e interrogandoci sul loro utilizzo. Giacché, come sempre, ci è sembrato meno grave rischiare di turbare che rischiare di dimenticare. Il presente volume fa parte della collezione personale.
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