10,00 €
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Autore:
Ugo Fedeli
Editore:
Autoproduzioni Cassa Anti-repressione
Anno:2022
ISBN: Nonapplicabile Collana: STORIA/INTERVENTI
Condizioni: NUOVO
Categoria: ANARCHIA STORIA MOVIMENTI
ID titolo:88539405
"Giuseppe Ciancabilla" è in vendita da domenica 4 agosto 2024 alle 15:13 in provincia di Venezia
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Note su "Giuseppe Ciancabilla": PREMESSA ALLA NUOVA EDIZIONE
Il viaggio libertario di Giuseppe Ciancabilla si compie in soli sette anni, sette anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, un periodo breve ma intenso, in cui la sua energia intellettuale e la sua verve polemica consegnano all’anarchismo un uomo che ancora oggi si sottrae ad ogni aggettivo associabile alla parola “anarchico” («a noi basta qualificarci anarchici semplicemente»): cerchiamo di capire perché.
Ciancabilla non è un individualista per il semplice fatto che considera l’agire individuale parte dell’agire comune («mi rivolto, dunque siamo», per dirla con Camus): «l’individuo che è anarchico per sé lo è necessariamente per gli altri», mentre «l’individuo […] che è anarchico per gli altri […] non lo è in sostanza»; l’individuo che è anarchico per un proprio incontenibile bisogno di libertà e felicità «sarà costretto ad attirare altri nell’orbita della sua azione e della sua teoria; cercherà di convincerli, di dare ad essi l’energia che è esuberante nel suo essere, di deciderli all’azione»; l’individuo che, invece, si preoccupa di propagandare la propria idea non per un bisogno personale ma per trovare seguaci «è costretto a presentare quest’Idea sotto l’aspetto più seducente, accomodandola alle esigenze del suo pubblico, smussandola di ciò che può parere aspro e difficile a concepirsi, adattandola a tutte le esigenze curiose di coloro che vogliono sapere, vogliono prevedere, vogliono, prima di demolire, ricostruire idealmente il futuro» (si pensi alla nota discussione tra Merlino e Malatesta).
Ciancabilla, pur venendo in stretto contatto con gli ambienti anarchici francesi di influenza kropotkiniana (collabora con il giornale Les Temps Nouveaux, diretto da Jean Grave, ed è il primo a tradurre La conquista del pane in lingua italiana), non resta ancorato a formule evoluzionistiche, sottolineando la necessità di partecipare «a tutti i movimenti che rivestano un carattere di ribellione e di progresso»: «nessun anarchico può lottare isolato contro il sistema in modo efficace» e l’individualismo anarchico confluisce naturalmente in un comunismo libertario prodromo di una società in cui «il benessere privato, confondendosi nel benessere generale, farà sì che tutti concorreranno al miglioramento reciproco». Tuttavia, questa visione dell’anarchia resta pur sempre aperta «a qualunque altra innovazione che il progresso ed il suo sviluppo potranno render necessaria; giacché le teorie anarchiche sono sempre in discussione per riuscirne continuamente migliorate».
Ciancabilla non è un “informale” né un terrorista (la sua arma è la penna e imputargli, ancora oggi, di essere il mandante del tentato omicidio di Malatesta, ferito durante un dibattito da tal Domenico Pazzaglia, offende profondamente la sua memoria): la solidarietà che egli puntualmente manifesta nei confronti dei regicidi (in un’epoca in cui la “propaganda del fatto” poteva essere fonte di ribellione e non di terrore) non prescinde mai dal considerare questi attentatori martiri che si immolano «sull’altare dell’Ideale», vittime di un sistema brutale che non si fa scrupoli a sparare su una popolazione che chiede condizioni di vita più umane. Coerentemente Ciancabilla riconosce anche a Luigi Lucheni, uccisore di una donna, l’Imperatrice Elisabetta d’Austria, la qualificadi anarchico, non omettendo, però, di deplorare il gesto e di definirlo «inopportuno» per l’anarchismo (oggetto, infatti, di forte repressione a seguito del famoso “colpo di lima”).
Ciancabilla rifiuta l’appellativo di “antiorganizzatore” ed effettivamente non è contrario all’organizzazione, bensì all’accentramento del potere: il programma è un «circoscritto orizzonte di concezioni di lotta e di finalità che gli aderenti si» impegnano «a non oltrepassare»; la federazione è «una chiesuola ristretta e autoritaria che» accentra «in mano di pochi individui pericolose facoltà di egemonia e di dominio»; la commissione di corrispondenza è un «piccolo comitato» che pecca di «parzialità» e favorisce «questa o quell’iniziativa più ad esso simpatica»; il partito è «l’insieme omogeneo, e soprattutto disciplinato, di coloro che non solo professano una medesima idea, ma s’impegnano a seguire una determinata tattica sancita dalla maggioranza dei suoi componenti o dei suoi rappresentanti»; i congressi sono «accolite di rappresentanti» aventi lo scopo di «decretare, stabilire, fissare, imporre norme e limiti di azione». A queste strutture burocratiche affette da autoritarismo Ciancabilla oppone la «spontanea unione fra quelli che sentono e intendono la lotta nel modo più affine», «il più ampio sviluppo delle iniziative individuali», la «formazione di gruppi autonomi» (cosa che ha ben visto in Francia) e la «diffusione di quell’educazione essenzialmente libertaria che deve formare la base della futura società anarchica».
Nella biografia presentata, l’unica che sia mai stata scritta su Ciancabilla, Ugo Fedeli gli riconosce «il merito di essere stato uno fra i primi a tentare d’innestare l’uno sull’altro […] i due modi di vedere e di comprendere l’anarchismo negli Stati Uniti: […] la tendenza americana e quella latinoitaliana; individualista la prima, socialista libertaria l’altra». Importanti anche le parole di Luigi Galleani: «[…] se Malatesta e Ciancabilla, invece d’essere trascinati dal raggiro d’ignobili speculatori di zizzanie al più deplorevole e più sterile conflitto, avessero potuto – come di fatto e concordemente volevano – dedicare tutta la loro attività a buttar nel solco aperto il buon seme, il movimento libertario italiano degli Stati Uniti sarebbe forse in grado di pesare nei momenti decisivi delle lotte proletarie locali».
Quanto detto è sufficiente a condurre la figura di Ciancabilla, un uomo che si è speso per le sue idee di libertà e di giustizia sociale (dai diritti dei lavoratori ai diritti della donna) fino all’ultimo giorno della sua breve vita, oltre ogni tipo di strumentalizzazione postuma e astorica che voglia relegarlo, con ammirazione o con disprezzo, al ruolo di nichilista o insurrezionalista volto alla “soluzione” violenta delle questioni. Egli fu un anarchico, semplicemente «semplicemente».
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