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La bandiera nera. Da Israele le parole di chi non si rassegna allidea che i due popoli non possano convivere in pace e nel rispetto reciproco |
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Autore:
Barbara Bertoncin, Francesco Papafava, Asher Salah (a cura di); Adriano Sofri (prefazione di)
Editore:
Una città
Anno:2002
ISBN: 9788890097805 Collana: internazionalismo
Condizioni: BUONE CONDIZIONI
Categoria: ATTUALITÀ
ID titolo:52549501
"La bandiera nera. Da Israele le parole di chi non si rassegna allidea che i due popoli non possano convivere in pace e nel rispetto reciproco" è in vendita da venerdì 8 giugno 2018 alle 11:11 in provincia di Genova
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Note su "La bandiera nera. Da Israele le parole di chi non si rassegna allidea che i due popoli non possano convivere in pace e nel rispetto reciproco": pagine 192
copertina morbida
fotografie in bianco e nero
prefazione di Adriano Sofri
CONTENUTO:
INTERVISTE E TESTIMONIANZE DA ISRAELE
Nel 1956 la Corte Suprema di Israele dichiarò colpevoli gli esecutori del massacro di Qafr Qasem, rigettando la giustificazione per cui stavano semplicemente eseguendo gli ordini, e sentenziando che un soldato ha il diritto e il dovere di rifiutare un ordine manifestamente illegale, su cui sventola la bandiera nera dell’illegalità. Ci sono persone che non vedono mai la bandiera nera, neanche quando si tratta dell’assassinio di un arabo legato. Ci sono persone che le bandiere nere le vedono solo da vecchie, come me. (Yigal Shohat, colonnello in pensione dell’aviazione israeliana)
Hanno sradicato gli ulivi... L’impostura di Barak: aver proposto una caricatura di stato, diviso in tre spezzoni e con un aeroporto dipendente da Israele, e aver messo Arafat nell’imbarazzo di dover parlare dei luoghi santi, per i quali l’internazionalizzazione è l’unica soluzione. Sul diritto al ritorno dei profughi bisogna distinguere il principio, da riconoscere, dalla sua applicazione, da contrattare. L’odio tremendo che si è seminato fra i palestinesi in questi anni. intervista a Joseph Algazy
Il ritorno impossibile La responsabilità dei paesi arabi nel tenere aperta la piaga terribile dei campi profughi per 50 anni. Il ritorno dei profughi comporterebbe la fine di Israele come Stato ebraico. Quei gesti difficili, nascosti alle telecamere, che avvicinarono i due nemici. Il grave errore, poi, di aver reagito ai lanci di sassi con mezzi militari. Quel che Israele non potrebbe sopportare, di portare i palestinesi alla disperazione più totale. Intervista a Ephraim Kleiman
Mio nonno che non ho conosciuto... La scelta, lungamente pensata, di un giovane ebreo italiano, già studente universitario a Gerusa-lemme, di diventare israeliano e fare il servizio militare. Fin da bambino i racconti di famiglia sul nonno... Intervista a Shulim Vogelmann
Eppure il Medio Oriente potrebbe rifiorire... Il comunismo israeliano fu fatto dagli intellettuali, che andarono a lavorare in campagna... Si collaborava anche con chi odiava il sionismo, ora invece... Le proposte di Barak erano un primo passo; i Territori stavano conoscendo una nuova vita, i palestinesi della diaspora mandavano soldi, anche i coloni sarebbero andati via. Quando i miei nonni vennero qui all’inizio del secolo... Intervista a Ruth Dayan
Il paradosso della democrazia etnica Gli arabi israeliani stanno subendo un attacco ai loro diritti civili senza precedenti, dal divieto alla convivenza nei matrimoni misti, alla discriminazione nei sussidi ai bambini, all’obbligo di giurare fedeltà allo ?Stato degli ebrei?. La loro convinzione che la destra israeliana, ossessionata dalla demografia, abbia un solo obiettivo, il trasferimento, parola del resto non più tabù nel dibattito politico israeliano. Intervista a Jamal Zahalka
Il battaglione d’élite e le guardie di frontiera Una classe dirigente che viene dalle truppe d’élite, askenazite da sempre. Una selezione che comincia in una scuola che, a sua volta, seleziona per censo e quindi per gruppo etnico. Nell’esercito i coloni nazionalisti di estrema destra stanno prendendo il posto dei kibbutzim laburisti. La drastica penalizzazione di arabi, drusi e beduini israeliani che può diventare esplosiva. Intervista a Hashem Hussein
Il ’38, il ’48... Una famiglia di ebrei italiani, antifascisti, amici dei fratelli Rosselli, che di fronte alle leggi razziali decise di andarsene in Israele. I giovani figli che si arruolarono nella Brigata Ebraica dell’esercito inglese per tornare in Italia a combattere i tedeschi e ritrovare nonni e parenti. La vita dura nella Israele dei primi anni. La partecipazione alla guerra del ‘48, e a tutte le altre. Gli ideali sionisti e l’illusione, che le guerre fecero cadere, della nascita di un ebreo e un uomo nuovi. Il ricordo indelebile di quel gruppo di ragazzetti arabi. Intervista a Piero Cividalli
Quello spazio bianco fra i due racconti L’impegno di un gruppo di professori israeliani e palestinesi a disarmare la storia, provando intanto a riscrivere insieme un manuale per le scuole. Le due versioni propagandistiche a un confronto spesso reciprocamente doloroso e aspro. La scelta, per ora, di tenere affiancate le narrazioni, tradotte in entrambe le lingue. Un’esperienza coraggiosa che sta appassionando i protagonisti e suscitando curiosità. Intervista a Sami Adwan e Dan Bar-On
Allora preferisco parlare inglese Lottare per riavere la terra che era dei nonni, per una casa che non c’è più, per un villaggio di cui restano solo la chiesa e il cimitero, per il proprio paese, per la propria identità, per una madre che vuole dimenticare. Intervista a Rima Essa
Il sogno della Scandinavia Una politica israeliana sistematicamente pianificata a pregiudicare per sempre qualsiasi possibilità di uno Stato palestinese realmente sovrano. 400.000 israeliani vivono già al di là dei confini del ‘67. E1 è una sigla anonima che definisce uno spicchio di territorio che taglierebbe l’ultimo corridoio nord-sud accessibile ai palestinesi. Il sogno, una volta che ci sarà lo Stato palestinese, di una confederazione alla ‘scandinava’, aperta alla libertà di circolazione e di residenza di tutti ma dove ognuno vota per il proprio parlamento. Intervista a Jeff Halper
L’avamposto che rischia di decomporsi Una crisi indotta anche da ondate immigratorie in nulla simili alle precedenti; il “racconto” del ‘48, smentito dai nuovi storici. Una cultura sionista comunitarista, impregnata di populismo russo più che di illuminismo; il binomio nazionalismo-socialismo e i leader che continuano a venire dai kibbutz. L’incapacità dei palestinesi di uscire da logiche di “liberazione nazionale”. Intervista a David Bidussa
La radice coloniale Il necessario e ineludibile riconoscimento del carattere coloniale, non solo nazionale, del conflitto. Perché il ‘67 non può cancellare il ‘48. La visione di Peres di un grande Medio Oriente, di una confederazione fra Israele, Giordania e Stato palestinese, in cui gli ebrei siano finalmente integrati. Perché di Gerusalemme non si doveva assolutamente parlare. Arafat, in fondo, voleva fare come Ben Gurion. Intervista a Wlodek Goldkorn
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